LE ORIGINI ovvero LA VERA STORIA DEI CAVALIER KING
Prima Parte
«Tanto, tanto tempo fa; in epoche così lontane che nessuno le ricorda più…»
«Se nessuno le ricorda, tu come fai a saperlo?» ovviamente era quell’impertinente di Ulisse a interrompere il racconto appena iniziato.
Quella mattina pioveva, avevo riunito le mie amiche con i loro i cuccioli per passare il tempo.
«Non interrompere chi sta parlando, non è educato. Scusa, continua.» Rimproverò Nausica.
«Tanto, tanto tempo fa, in epoche lontanissime il mondo era totalmente coperto d’acqua e non c’erano segni di vita…»
«Non è vero, in acqua ci sono i pesci…»
«Adesso basta Ulisse se continui a interrompere, Sheela non ci racconterà la sua storia.»
«Scusa.» disse Ulisse imbronciato.
«Non c’erano segni di vita, stavo dicendo, ma di lì a poco la terra emerse, dall’acqua uscirono gli anfibi, il cielo si popolò d’uccelli e fu vita. C’era stato il tempo dell’acqua, poi quello della Terra.
L’uomo e gli animali la popolarono e la terra si ricoprì d’alberi e foreste. Gli abitanti si dettero all’agricoltura, altri alla caccia e altri ancora al commercio. Regnava sulla Terra l’armonia quando…»
«Quando?» chiesero i cuccioli che ormai si stavano appassionando alla storia.
«Quando calò dal cielo la prima nuvola che si posò leggera sulla cima di un monte, altre scesero a infiocchettare i boschi e sembrava quasi che ci fossero delle lunghe strisce di cotone posate sopra.
“Oh, che bello!” dissero gli uomini a riprova del fatto che non tutto ciò che sembra bello, lo sia veramente. Poi vennero i nuvoloni più grandi e si mangiarono le cime delle montagne e infine calò la nebbia: grigia, umida che sembrava quasi appestare ogni cosa e il mondo si fermò.»
«Ohh!» esclamarono i cuccioli che si erano sdraiati per terra per ascoltare meglio.
«Non essendoci più il sole per far crescere il grano ed i frutti, non ci furono più raccolti; il cibo iniziò a scarseggiare e la gente ad ammalarsi. Il bestiame non avendo più da mangiare e non servendo per lavorare, fu macellato…»
«Oh, che cosa orribile.»
«In un castello, uno di quelli con le torri merlate, in mezzo ai boschi, viveva un castellano con la sua famiglia e i servitori. Aveva due figli: una piccola bimba di quattro anni e un ragazzino di undici.
Poco alla volta aveva dovuto mandar via i servitori perché non sapeva più come sfamarli e avevano dovuto sacrificare anche gli animali, tranne un vecchio ronzino, un cane e un gatto.
Un giorno il ragazzino, che si chiamava Matteo, decise di partire. Sellò il vecchio cavallo, prese il cane, una lancia, mise un pugnale nella cintura si coprì con un mantello e aprì il portone del castello.
«Aspetta» disse il padre «prendi questa bisaccia c’è qualche crosta di pane. Perché vuoi andare, figlio mio?»
«Voglio scoprire l’origine di questa nebbia malvagia che ci sta uccidendo. Non posso restare qui ad aspettare. Meglio morire combattendo.»
«Così sia.» disse il padre e gli diede la sua benedizione.
Mentre stava per chiudere il portone, s’infilò il gatto che disse “Miaoo” cioè”Vengo anch’io”
Matteo lo guardò con fare interrogativo e il gatto spiegò, scrollando le spalle:
«Non ci sono più topi.»
Così iniziarono la loro avventura. Matteo camminava tenendo per le briglie il ronzino, poi veniva il cane e, per ultimo, il gatto. Dopo che il castello si perse in lontananza il cane e il gatto si affiancarono: erano vecchi amici, ma ritenevano preferibile che gli altri non lo sapessero. E non era questo l’unico segreto: fin da ragazzo Matteo capiva il linguaggio degli animali e, quando nessuno era nei paraggi, parlava tranquillamente con loro.
I quattro amici camminarono per molto tempo e per cercare di non perdere l’orientamento, costeggiarono la riva di un ruscello che scorreva in mezzo ai boschi. Inoltre, grazie all’astuzia del gatto, riuscirono a catturare dei pesci, così finalmente mangiarono qualcosa di diverso dalle radici delle piante, poiché il pane era ormai finito da tempo.
Ogni tanto Matteo entrava in qualche villaggio desolato per cercare di sapere da dove proveniva quel malanno, ma i pochi superstiti che incontrava avevano le idee confuse.
Così si diressero sempre più a Nord pensando che se la nebbia era calata dall’alto, lì dovevano cercarla. Dopo mesi di vagabondaggio il vecchio ronzino annunciò che era ormai giunta per lui l’ultima ora. Li salutò calorosamente, strofinò il suo muso contro il viso di Matteo e s’inoltrò là dove la nebbia era più fitta e in poco tempo sparì dalla loro vista.
«Oh poverino! Dov’è andato?» chiese Minerva.
«Ma dai» rispose Ulisse «sei proprio ingenua. Aveva un appuntamento.»
«Silenzio, cuccioli. Così disturbate.»
Le voci si zittirono e ripresi il racconto.
I tre evitarono di parlare del loro amico. Matteo aveva messo sulla spalla la sua lancia e camminava cercando di bilanciare il peso.
Poi una notte, quando stavano per raggiungere l’ingresso di una caverna per cercare riparo, sentirono l’ululato dei lupi e il sangue ghiacciò nelle vene di Matteo e del gatto. Poco dopo videro avvicinarsi delle sagome scure e il cane balzò davanti a loro per proteggerli.
I lupi si fermarono e ulularono, Wolf, così si chiamava il cane, rispose, poi si volse verso Matteo «Mi chiedono di andare a parlare con loro.»
«Non andare» disse il gatto «ti sbraneranno.»
Wolf scosse il muso e si avviò verso il branco.
Dopo un certo tempo, che a Matteo e al gatto sembrò lunghissimo, Wolf tornò.
«Vogliono che vada con loro. Non sono lupi, ma un branco di cani ormai selvaggi. Ho barattato la vostra salvezza con il fatto che io mi unisca a loro. Inoltre ho anche un’informazione preziosa: conoscono l’origine del male. Si trova sul Monte Destino, ma non hanno saputo dirmi altro. Addio amici e spero tanto che riusciate a sconfiggere questo nemico invisibile.» E, senza dar tempo ai due amici di protestare, Wolf, con un balzo, raggiunse il branco e si allontanò con loro.
«Grande!» esclamò Ulisse, poi, rendendosi conto «Scusate!»
LE ORIGINI ovvero LA VERA STORIA DEI CAVALIER KING
Seconda parte




Erano rimasti in due. Si guardarono negli occhi e il gatto disse:
«Bisogna proprio che troviamo l’origine di tutto questo male, altrimenti avremo perso i nostri amici migliori per nulla.»
Anche Matteo era dello stesso parere e si avviarono in cerca del Monte Destino.
Dopo settimane di cammino, arrivarono in vista del monte che non era poi così alto, almeno così sembrava perché la nebbia e gli alberi lo ricoprivano tutto.
Furono fortunati perché trovarono un sentiero che s’inerpicava su per il monte. Lo seguirono e dopo alcune ore di cammino arrivarono a una radura, dove s’intravedeva una casa dal cui camino usciva un fumo denso e grigio.
«Ecco» disse Matteo, rivolgendosi al gatto «deve essere questo l’origine del male. Facciamo così io vado in perlustrazione dentro la casa e tu mi aspetti fuori.»
«Non se ne parla nemmeno. Io sono più piccolo e riesco a intrufolarmi meglio. Andrò io.»
E senza aspettare si lanciò verso la porta che era socchiusa e s’infilò dentro senza fare alcun rumore.
A Matteo non restò che aspettare l’esito, ma non dovette attendere molto. Vide tornare il gatto, che si chiamava Romeo, seguito da una cagnolina, la più bella che avesse mai visto.
Era piccola, bassa, ma velocissima. Aveva un manto bianco e fulvo, una lunga coda ricoperta di pelo e gli occhi dolcissimi.
«Ho portato questa cagnolina, a proposito si chiama Emma, lei conosce l’origine del male.»
«Davvero Emma tu conosci il perché di questa nebbia?» chiese Matteo.
Si sedettero al riparo degli alberi ed Emma narrò loro una lunga storia.
«Credo che in parte sia colpa mia.» Iniziò.
«Com’è possibile?»
«Sapete io non sono, anzi non ero un cane. Sono figlia di un principe che vive lontano da qui, ma sono nata deforme, avevo gli arti corti e il resto del corpo sviluppato normalmente. Mio padre fece venire i medici più sapienti, ma tutti scossero la testa: non c’era nulla da fare. Quando ormai ero diventata una ragazzina, giunse al castello un uomo sapiente: dichiarò che sarebbe riuscito a guarirmi, ma non con la normale medicina. Mio padre stette ad ascoltarlo e gli diede un mese di tempo per riuscire. Passato il mese, l’uomo disse che gliene accorreva ancora un altro e riuscì di mese in mese a rinviare l’esito. Intanto si faceva portare degli strani ingredienti per i suoi esperimenti. Trascorso quasi un anno, mio padre infuriato lo fece imprigionare e decretò che l’indomani lo avrebbe messo a morte.
Io ancora m’illudevo che lui potesse trovare un rimedio e, di notte, lo andai a trovare.
“Se mi liberi, io ho già trovato la soluzione.” Disse con fare mellifluo, gli credetti.
Sapevo, dove era riposta la chiave della cella, la presi e lo liberai.
“Adesso mantieni la promessa.” Dissi. Lui annuì, ritornò nella sua stanza e mi fece bere un intruglio, mentre lui preparava il suo fagotto. Svenni.
Quando mi svegliai, non capii esattamente cosa mi era successo. Lui stava cavalcando verso questa montagna ed io ero dentro una bisaccia. Mi spiegò, poi, che per me non esisteva un rimedio e allora mi aveva trasformato in un piccolo cane, ma almeno riuscivo a muovermi velocemente. Lui intanto era giunto a questa casa, mise a bollire i suoi intrugli e un fumo denso iniziò a uscire dal camino e da allora non ha più smesso. Odia gli uomini ed ha deciso di vendicarsi.» Emma tacque, ma i suoi occhioni erano pieni di lacrime.
«Mi dispiace che tu sia diventato un cane.» Disse Matteo accarezzandola.
«In fondo va bene così» rispose lei «almeno sono diventata agile, mentre prima non riuscivo quasi a muovermi.»
«Lui dov’è?» chiese il gatto.
«E’ andato a cercare dei minerali e altri ingredienti per la sua poltiglia fumosa.»
«Bene» disse Matteo «entriamo in casa e vediamo cosa riusciamo a fare.»
Entrarono nella casa e videro un forno dalla forma strana.
«Lui lo chiama Athanor.» Disse Emma.
Era collegato al camino e da lì usciva il fumo.
«Bisogna spegnerlo» disse il gatto «oppure rompere questo strano forno.»
Fuori della casa c’era un pozzo e Matteo iniziò a riempire i secchi che il gatto, aiutato da Emma, versava dentro il forno. Alla fine questo si spense e la mancanza di calore fece nascere delle crepe nel forno per cui di lì a poco, aiutato da energici colpi di vanga l’Athanor rovinò.
Non usciva più fumo dal camino, ma la nebbia era fitta come prima.
In quel momento Emma, che era stata di guardia alla porta, diede l’allarme: stava ritornando.
Matteo uscì di corsa dalla casa per brandire la lancia che aveva lasciato appoggiata al muro esterno, ma l’uomo non gliene diede il tempo.
Si avventò su Matteo cercando di colpirlo con la sua spada, lui si scansò e sfilò il suo pugnale.
Stettero a guardarsi per qualche minuto, per studiare le mosse.
L’uomo era più alto di lui, ma lo studio chino sui libri lo aveva ingobbito e si muoveva lentamente. Mentre i due si studiavano, Romeo, che era salito su di un ramo dell’albero vicino alla casa, si lanciò dall’alto sulla faccia dell’uomo e Matteo ne approfittò per scagliarsi con il pugnale. Lo prese giusto vicino al cuore, ma la punta della spada del suo nemico lo ferì mortalmente e i tre caddero per terra.
Il primo a uscirne fu Romeo che a Emma, che era accorsa, disse:
«Sono salvo, mi restano ancora sei vite.» Poi scostarono i due corpi, il mago era morto sul colpo, Matteo invece riuscì ad aprire gli occhi.
«Addio, amici miei» disse «muoio contento. Ho mantenuto la mia promessa.»
Emma dette un guaito straziante, si precipitò in casa e ritornò con una fiaschetta che accostò alle labbra del moribondo.
Intanto la nebbia iniziò a muoversi, a mulinare e un vento improvviso si abbatté sulla montagna. Si udì un rumore sordo e un lampo colpì la lancia vicina a Matteo che trasmise una scossa al corpo morente. Poi dal cielo venne una pioggerellina sottile, che divenne sempre più intensa ripulendo il cielo dalla nebbia.
Quando Romeo ed Emma guardarono verso il corpo di Matteo, lui non c’era più.
Al suo posto un cagnolino uguale a Emma, con un manto bianco, nero e qualche macchia marrone.
Emma gli aveva somministrato la pozione che l’aveva trasformata e il fulmine aveva poi compiuto l’opera.
Fu così che nessuno seppe chi effettivamente aveva liberato la Terra da quella catastrofe.
Emma e Matteo vissero felici dando inizio a una nuova specie canina e Romeo se ne andò per i fatti suoi.
Secoli dopo re Carlo d’Inghilterra, che come Matteo comprendeva il linguaggio degli animali, venne a conoscenza di questa storia e, non potendo divulgarla, dichiarò i discendenti di Emma e Matteo “Cavalieri del Re”.
E questa, cuccioli miei, è la vera origine della nostra razza»
«Che bello» dissero i cuccioli «allora siamo veramente di stirpe regale.»
«Certo, ma che non si sappia in giro, prima che qualcuno si faccia venire l’idea di affumicare
il mondo.»
THE END
Titoli di coda:
Voce narrante: Sheela.
Attori protagonisti:
Ulisse nel doppio ruolo di se stesso e di Matteo.
Minerva nel doppio ruolo di se stessa e di Emma.
Comparsata – cameo di Nausica.
Scenari:
Athanor: forno alchemico.
Veduta di un castello in quel di Montagne (Alto Adige).
Nuvole sparse nel cielo e nelle montagne.
P.S. Sheela è disposta a trattare per riduzioni a fumetto o cartone animato. Qua la zampa.