Nel castello degli avi

Capita anche a voi di ricevere uno di quegli inviti, di cui si farebbe volentieri a meno, ma che non si riesce proprio a eliminare?

Uno di questi è arrivato a me e a mio fratello Giotto. Si trattava di passare un fine settimana dalla pro-prozia Elisabeth, detta Lilly, un invito, per quanto mi riguardava pallosissimo. Avete presente quelle vecchie parenti, zitelle che vivono nel culto del passato? Ecco Lilly ne è il ritratto perfetto.

Avevo tutte le intenzioni di ignorare l’invito, ma Giotto, non so per quale motivo, si era messo in testa che fosse giusto andarla a trovare. Così eccoci qui davanti al portone di legno, rivestito con borchie di metallo, a battere un grosso batacchio.

Il portone però era solo accostato, così siamo entrati in un salone pieno di armature e di ragnatele.

Ho mormorato «Dai, andiamo via!» Troppo tardi. Tenendo una fiaccola in una zampa, si è profilata la sagoma di una Cavalier, abito di velluto nero, bianco e marrone (i nostri colori del manto) con una piccola gorgiera.

«Venite, nipoti. Fatevi vedere, era ora di conoscersi!»

Giotto, che sa adattarsi benissimo alle situazioni, fece una riverenza e un baciamano «Zia, è un piacere conoscerti.»

«Un vero cavaliere, mi complimento. E questa…»

«Lascia che ti presenti, mia sorella Sheela.»

Io chinai il capo «Zia» dissi a mo’ di saluto, la riverenza non era nelle mie abitudini.

«Carina. Ma tu Giotto, sei un vero splendore. Ce ne fossero come te…»

Iniziavamo bene. Mio fratello aveva deciso di compiacere la vecchia ed io dovevo sopportare le sue smancerie.

Pestai la coda di Giotto, che represse un guaito.

«Venite, dovete aver fame. Ho preparato un buffet di pesce freddo. Spero vi piaccia.» Ci fece accomodare in un lungo tavolo fratino, dove su di un lato erano apparecchiate tre scodelle di una sbobba puzzolente e immangiabile. Sapete, io di solito vado pazza per il pesce, ma il contenuto delle scodelle era qualcosa al di fuori di ogni descrizione. Dissi che ero accaldata, stanca e non avevo fame, così Giotto dovette abbozzare e mangiare quella cosa immonda. Alla fine aveva un colore verdognolo, mi fece pena, ma se l’era cercata.

«Vi accompagno alle Vostre stanze. Sono al piano di sopra.»

Iniziammo a salire le scale punteggiate da ritratti. Ogni tanto la zia ne indicava uno. «Quell’arazzo raffigura William I. Un grande condottiero nella guerra delle due Rose. Quest’altro invece è Carlo IV, colui che disse “Il mio regno per un biscotto!”» La zia accennò una carezza alla tela. «Un grande Cavalier King, uno che non si piegava. L’onore prima di tutto.»

«È a causa sua che ci siamo ridotti senza niente?»

La zia mi gelò con lo sguardo. «Una grande casata non può rinunciare al suo onore.»

Eravamo arrivati davanti a una porta.

«Giotto questa è per te.» Sbirciai, prima che la porta si chiudesse e riuscii a vedere una bella pelle tigrata appoggiata su un divano letto, una sistemazione confortevole. Due porte dopo era il mio turno. Presi la lucerna che mi aveva dato e scoprii una stanza polverosa senza nessun confort tranne un vecchio tappeto messo per terra. Era chiaro che le preferenze di Lilly andavano a Giotto.

L’indomani scesi presto. Ero affamata e non volevo restare un minuto di più in quel posto orribile.

La zia attendeva seduta a capotavola. Anche Giotto era mattiniero e quindi ci buttammo su una pila di vecchi biscotti, che aspettavano da mesi di essere consumati. La fame rende tutto più gustoso e così la colazione si esaurì in breve tempo.

«Forse vi chiederete perché vi ho invitati.»

Eravamo tutto orecchi e non proferimmo verbo.

«Sono vecchia ed è ora che scelga un erede cui passare il titolo. È una grande responsabilità e un grande onore. Ho scelto te, Giotto. D’ora in poi sarai l’erede della casata dei Cavalier King, un degno rappresentante. Ne sono sicura.»

Giotto mi guardò soddisfatto e mi venne il dubbio che sapesse già dell’eredità.

«Grazie, zia. Ne sono onorato. Verrò a trovarti spesso.»

«No, nipote, non hai capito. Adesso che sei ufficialmente l’erede dovrai risiedere nel castello dei tuoi avi. Non potrai più abbandonarlo finché, a tua volta, non lo trasmetterai a un tuo erede.»

«Ma veramente…»

«E poi dovrai cercare di risanare le finanze. Purtroppo i possedimenti sono stati ceduti…»

«Per un biscotto.» intervenni io che stavo cercando di non ridere alla smorfia che mio fratello aveva sul muso.

«Queste sono quisquilie. Sono certa che Giotto saprà prendere nelle sue zampe le redini della situazione.»

Io mi alzai. «Bene, vi lascio. Invitami quando avrai risanato. Devo tornare a casa. Ho della carne in frigo e non vorrei che andasse a male» Questa era una cattiveria, ma non mi sentivo buona «poi avrei degli impegni con gli amici. Arrivederci zia. Stammi bene, Giotto.»

Giotto si era alzato anche lui. «Zia, ti ringrazio per l’onore, ma non credo di essere adatto a fare il castellano.»

«Non puoi…»

Ma ormai eravamo fuori dal portone e iniziammo a correre a perdifiato inseguiti dai richiami della zia.

Quando il castello si perse dietro una collina, riprendemmo fiato.

«Sapevi che la zia voleva nominarti erede, confessa!»

Giotto cincischiò «Sì, è vero, ma non sapevo a cosa sarei andato incontro.»

«Bene sir Giotto, ritorni fra noi plebaglia o resti con la zia.»

«Che domande. Ritorno, ritorno.» E ci incamminammo verso casa.  

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