La foto sul giornale immortalava quattro musetti con gli occhi che riflettevano il flash, non si capiva bene cosa o chi fossero (per fortuna), ma il titolo dell’articolo recitava
“ SORPRESI A RUBARE: CADUTI NELLA TRAPPOLA FOTOGRAFICA”.
La vecchia chiuse il giornale, lo piazzò sotto il mio tartufo e chiese:
«Adesso come la mettiamo?»
Ma forse dovremmo fare un passo indietro.
Eravamo andati a fare una gita vicino a Tarvisio, nei pressi del confine. Due le macchine.
La nostra e quella con a bordo Nausica con i suoi cuccioli. Un’ultima fermata in autostrada ci voleva, sia per sgranchirsi le zampe sia per fare i propri bisognini.
Gli umani erano entrati a prendere un caffè, a turno, avevano detto, per poterci controllare.
Come se ce ne fosse bisogno. Io e Nausica siamo due Cavalier molto educate; i cuccioli, in fondo si comportano come cuccioli, ma di solito ce la caviamo benissimo da sole.
Quella volta però ci siamo distratte per colpa di una cockerina, nostra lontana parente, con cui ci siamo messe a scambiare qualche pettegolezzo. Insomma è stato un attimo e quando ci siamo voltate, i cuccioli non c’erano più. Inutili le nostre ricerche fra le altre macchine posteggiate, poi seguendo il nostro fiuto abbiamo trovato la pista che portava dentro la foresta di Tarvisio.
Non ci abbiamo pensato neanche un attimo e ci siamo messe a inseguirli. Non abbiamo fatto a tempo a raggiungerli che loro erano già entrati fra i primi alberi. Così siamo entrate nella foresta anche noi, certo avevamo sentito il richiamo dei nostri umani, ma i cuccioli, sono i cuccioli e tanto basta, quindi abbiamo proseguito.
Non è stato facile. C’erano tanti alberi e i due monelli chissà cosa stavano inseguendo. Alla fine però siamo riuscite a trovarli, sia per il nostro fiuto, sia perché Minerva si era fermata rendendosi conto all’improvviso dell’ambiente sconosciuto in cui si trovava.
«Mamma» uggiolò quando ci vide.
Nausica era arrabbiata e decisa a fare la dura, ma il musetto impaurito di sua figlia le smorzò l’ira.
«Si può sapere perché vi è venuto in mente di scappare?» chiese.
«Io ho seguito Ulisse!»
«Ulisse, al solito. E adesso dov’è?»
«Stava inseguendo un coniglio, ma non credo che alla fine sia riuscito a prenderlo. E’ più avanti.»
Infatti poco distante vedemmo Ulisse che cercava di scavare davanti ad un grande masso. Probabilmente la tana del coniglio. Era così affaccendato a scavare che non ci sentì arrivare finché sua madre non gli appioppò un morsetto sulla coda.
«Ahi! Smettila Minerva.» disse voltandosi «Oh, sei tu, mamma!»
«Come devo fare con te!»
«Io ho visto passare un coniglio e mi sono detto “Adesso lo prendo”, ma lui è stato più veloce…»
«Ulisse, sai benissimo che non ti devi allontanare.»
«Ma non siamo in mezzo ad una strada, non ci sono pericoli.»
«Perché tu sai dove siamo? E i nostri umani ci staranno cercando e poi non ti eri nemmeno accorto che Minerva si era fermata. Poteva perdersi, non l’avresti più trovata.»
«L’odore di Minerva è inconfondibile, sicuro che l’avrei trovata.»
«Adesso basta. Con te faremo i conti tornando a casa. Quando riusciremo a tornarci»
Infatti, nel frattempo era sceso il sole e il buio si era fatto più fitto sotto la volta dei rami.
«Dubito che potremo tornare, conviene trovare un posto riparato e passare la notte.» dissi.
Fu in quel momento che percepimmo di non essere soli. Il rumore di un ramo spezzato, un odore greve di selvatico, dei passi improvvisi e una sagoma enorme e pelosa si stagliò vicino a noi.
Non era per nulla rassicurante, un grugnito sordo e imponente lo accompagnava.
«Ho paura.» sussurrò Minerva stringendosi a sua madre.
«Se la vedrà con me.» disse sfrontatamente Ulisse e fece un salto in avanti, ma fui lesta a prenderlo per la collottola. «Credo che tu per oggi abbia già combinato abbastanza guai.» e lo consegnai a Nausica.
La sagoma intanto si andava avvicinando. A me ricordava un amico che avevo conosciuto a Montagne, ricordate l’orso bruno che mi aveva difeso una notte in albergo?
Così mi feci coraggio e…
«Buonasera signor orso. Ci siamo persi e vorremmo tornare a casa. Sareste così gentile da indicarci la strada?»
Calò un silenzio improvviso. Stavo trattenendo il respiro. Avevo osato troppo?
Poi ci fu un ruggito che si trasformò in una risata sonora.
«Tornare a casa? La mia casa è sulle montagne. Volete andare là?»
«No. Eravamo fermi alla stazione di servizio, quando i cuccioli si sono persi. Adesso che li abbiamo ritrovati, vorremmo ritornare.»
«Sì, forse potrei aiutarvi. Non so, ci devo pensare.»
«Mamma io ho fame.» esclamò Minerva, che sentendosi addosso lo sguardo di tutti si rincantucciò.
«La piccoletta ha fame, vediamo che si può fare. Venite con me.»
Nausica m’interrogò con gli occhi ed io assentii leggermente. Così c’incamminammo dietro di lui.
«Là, fra quegli alberi c’è un recipiente pieno di miele. Potete mangiarlo, ma non tutto, c’è anche la mia parte lì.»
Era strana la faccenda, ma Ulisse era già partito e non ci restò che seguirlo.
Il vaso c’era veramente e al momento di iniziare a mangiarne il contenuto, un flash ci abbagliò tutti.
«Dimenticavo di dirvi che c’era uno scotto da pagare. Lasciatemene un po’.»
Così l’orso ci aveva sfruttati per prendere in santa pace il miele di cui era goloso.
Poi però fu molto gentile e ci accompagnò, al limitare della foresta dove trovammo i nostri umani che si erano rassegnati a passare in macchina la notte pur di non lasciarci lì.
Sorvoliamo su come ci accolsero. I rimproveri furono veramente tanti, ci dovemmo sottoporre a visite veterinarie e vaccini vari fino a quando non furono convinti che eravamo sani e non avevamo contratto alcuna malattia. Certo ci siamo ben guardati dal raccontare la storia dell’orso.
Però qualcosa devono aver intuito, forse per colpa di quella foto sul giornale perché la mia amica Barbara mi ha portato un barattolino di miele fatto dalle sue api.
Buonissimo! Un’avventura molto, ma molto dolce.


