Claudia stava leggendo il quotidiano con aria quasi minacciosa.
«Non se ne può più.» disse strattonando il giornale e rivolgendosi a sua madre che era china a lisciare il manto del suo Cavalier King. Un’operazione che richiedeva una dedizione quotidiana se non si voleva il formarsi di nodi indesiderati.
«Che c’è?» chiese continuando a passare la spazzola. Era un’operazione che la rilassava e non le piaceva essere disturbata.
«Ma hai letto i giornali? Non vedi la televisione, la radio, è un continuo…»
«Claudia, di cosa stai parlando?» Bruna, posò la spazzola e guardò sua figlia. Era chiaramente alterata.
«Tutte queste donne ammazzate, mamma. Ogni giorno c’è almeno una notizia di una donna uccisa dal suo ex, dall’amante, dal marito o padre padrone che sia.»
Sua madre annuì continuando ad accarezzare il cane. «Credo che sia un male endemico. Non facilmente risolvibile.»
«Mamma» come sempre quando si trattava di problemi sociali, sua figlia partiva lancia in resta «non puoi essere indifferente solo perché tu e papà siete stati una coppia felice. Le donne continuano a morire ogni giorno e nessuno fa niente.»
«Vedi Claudia il massimo che possiamo fare, è mettere un nastro rosso di protesta alla porta o al cancello, lasciare una scarpa rossa a testimoniare che il problema esiste, ma risolverlo… non credo proprio che sia così semplice.»
«Nastro o scarpa rossa. Tutto qui?»
«E cosa faresti? Non puoi certo entrare nell’intimità di una famiglia. E’ la donna che deve avere il coraggio di denunziare, ma anche così il problema non si risolve. Quante sono le donne che hanno denunziato i maltrattamenti e sono state poi uccise proprio per questo? Per non parlare di quei giudici che condannano il marito agli arresti domiciliari, accanto alla moglie che l’ha denunziato. Una vera provocazione. No, oggi la donna è più libera. Lavora, non ha il problema del mantenimento lasciando il marito, il problema è più profondo.»
«Che vuoi dire? Io amo mio marito, ma non esiterei a lasciarlo se mutasse carattere.»
«Può darsi, anzi conoscendoti, ne sono più che sicura, ma non per tutte è così. L’animo umano gioca brutti scherzi e la vittima spesso tende a giustificare il suo carnefice. Lo scusa davanti agli altri o incolpa se stessa.»
«Ci sono i centri sociali di aiuto alle donne.»
«E quante di queste, dopo i primi colloqui non si sono ripresentate? Certo è giusto cercare di aiutarle, ma non è detto che vogliano essere aiutate. Hanno un uomo che apparentemente dice di amarle e che un minuto dopo le ammazza. Come fai a evitarlo? Dai una scorsa al giornale e vedi quante di queste donne avevano denunziato e sono state uccise lo stesso?»
«Allora non c’è niente da fare?»
«Se vuoi proprio fare qualcosa, fai volontariato, ma non aspettarti di risolvere il problema.»
«Parli come se conoscessi a fondo il problema. Tutto bene, vero?»
«Certo piccola, cosa vai a pensare!» anche se sua figlia aveva passato i quaranta per lei, rimaneva sempre la sua bambina «Aspetta, ti faccio vedere una cosa.»
Bruna si alzò insieme al cane che non la lasciava mai, andò nell’altra stanza e ritornò con un vecchio album fotografico, di quelli di pelle rosso cupo e le foto incollate ai fogli con gli angoli.
Vecchie foto color seppia o al massimo in bianco e nero, con i protagonisti che fissavano immobili, in posa, la camera fotografica.
«Cosa vuoi farmi vedere? Oh, ma guarda sono vecchie foto, che belle!»
«Appartengono alla famiglia di mio padre. Erano i tempi delle famiglie numerose, l’Italietta voleva figli e la tua bisnonna ne mise al mondo undici.»
«Ma dai…»
«Sei morirono quasi subito, allora c’era un alto tasso di mortalità infantile. Ne rimasero cinque, tre maschi e due femmine. Mio padre era il più piccolino, questo che vedi qui con la frangetta.»
«Sembra una femminuccia…»
«Allora si usava così. Le due donne erano molto belle, ma una di loro doveva rimanere nubile per curare il padre invalido, poi anche sua madre lo divenne e Maria rimase zitella per dovere di famiglia.»
«Stai scherzando? No, vero? Oddio, ma come si fa a pretendere una cosa simile? Assurdo! E l’altra?»
«L’altra si chiamava Luigia, ma tutti la chiamavano Luigina, era la più piccolina, prima di mio padre. Devi pensare che erano tempi diversi, dovevano essere gli anni trenta del secolo scorso. La famiglia di papà apparteneva a una nobiltà decaduta per via dei soldi sperperati da un fratellastro del nonno. Decaduti sì, ma pur sempre di un certo ceto sociale.»
«Allora che successe?» Claudia cominciava a interessarsi alla storia.
«Al cuor non si comanda e Luigina s’innamorò di un operaio che aveva intravisto andando a Messa. Ovviamente anche lui s’innamorò di lei e cercò di avvicinarla quando lei usciva a fare la spesa. Il guaio è che, a quei tempi, le ragazze non potevano uscire da sole e forse un amico di famiglia che non si faceva i fatti suoi, informò il nonno che un ragazzo di basso ceto si permetteva di guardare la ragazza. Non sorridere, Claudia, erano cose perfettamente normali all’epoca. Luigina si beccò una ramanzina e le fu vietato di uscire.»
«Che cattiveria! Sembra una storia del medioevo.»
«I due comunque continuarono in qualche modo a comunicare e misero in atto la cosiddetta “fuitina”.»
«Vuoi dire che scapparono?»
«Sì. E, dopo aver trascorso la notte fuori, si ripresentarono a casa dei nonni. Ormai l’onore di Luigina era irrimediabilmente macchiato e a suo padre non restò che acconsentire alle nozze. Questa storia me l’ha raccontata zia Maria, la sorella maggiore. Luigina, che poi è stata la mia madrina di battesimo, l’ho conosciuta che era già sposata. Una bellezza dai capelli lunghi e mossi, magra, con i tacchi alti e delle lingerie di seta che non ti saresti aspettata per quei tempi.
Lui, Paolo, era una specie di gigante buono. Mi volevano molto bene, loro non avevano avuto figli e spesso m’invitavano da loro, anche se lo zio diceva che era meglio farmi un cappotto che invitarmi a pranzo. Ero magrissima, ma mangiavo come un lupo. Si vede che tutto il cibo dell’infanzia è venuto fuori adesso.»
«Dai mamma, hai qualche chilo in più, ma niente d’irrimediabile.»
«Io andavo volentieri a trovarli. Sono sempre stata un’inguaribile romantica e quest’amore ostacolato lo avevo in un certo modo idealizzato. Non mi accorgevo che non tutto era così perfetto come sembrava. Capita, purtroppo, di guardare le persone come vorresti che fossero e non come realmente sono.
Lui non riusciva a tenersi un lavoro. Per esempio ricordo un’agenzia viaggi in un posto, dove anche Palermo era già una meta da grande viaggio. Credo che abbia cambiato tante volte lavoro e anche città. La zia ormai la vedevo raramente. Ogni tanto veniva a trovarci e sapevo che si lamentava con mia madre per l’assurda gelosia di lui. “E’ segno che ti ama” rispondeva mia madre e tutto finiva lì. Avrò avuto quattordici o quindici anni al massimo quando una mattina mio padre ricevette una telefonata dai carabinieri del paese dove si erano trasferiti ultimamente. Mio padre, preoccupato, partì subito e noi rimanemmo in attesa di una telefonata.»
«L’aveva uccisa, vero? E’ questa della foto?» disse Claudia indicando una donna appoggiata a un leone di pietra. Gli occhi fissi e persi come quelli della fiera.
«Sì, le aveva inferto non so quante coltellate mentre dormiva. Era d’estate e la zia aveva solo la sottoveste per il caldo. La sottoveste insanguinata che i carabinieri consegnarono a mio padre.
Rivedo ancora la sua faccia quando tornò. Ti rendi conto cosa deve essere stato il viaggio di ritorno insieme a quell’indumento? Tutta una vita racchiusa in una sottoveste insanguinata. Fu l’unica volta che lo vidi piangere.»
«Cosa ne fecero?»
«Fu bruciata. Andammo in campagna, un luogo solitario, la ricoprimmo di giornali, erba secca e accendemmo il fuoco. Papà stava con gli occhi fissi sulla fiamma, i pugni serrati e le unghie quasi conficcate nella carne. Nessuno parlò. Quando tutto fu finito, io e mia sorella, disperdemmo nel terreno le ceneri.»
«E il marito?»
«Fu arrestato in stato di quasi demenza mentale. L’aveva uccisa in un raptus, aveva paura che qualcuno gliela portasse via. Finì i suoi giorni in un manicomio criminale. Dicono che continuò a chiamarla senza rendersi conto di averla uccisa. Quando morì, furono sepolti insieme.»
Claudia continuava a guardare quelle vecchie foto.
«Non sembra cattivo.»
«Non lo era, anzi verso gli altri era un uomo gentile. Solo il suo amore era malato. Insicurezza, paura di perderla. Probabilmente in quei momenti il timore che potesse andar via gli annebbiava il cervello.»
«La zia lo amava, vero?»
«Certo che l’amava e non l’avrebbe mai lasciato. Come vedi non tutto è così semplice. Non si può dare una regola ai sentimenti. La ragione in questi casi non c’entra.»
Claudia si alzò per abbracciarla.
«Scusa mamma se ti ho intristita con questi vecchi ricordi. Hai ragione il cuore non ascolta la ragione.»
Bruna l’abbracciò mentre il cane cercava di infilarsi fra le due.
«Buona, a te queste cose non potranno succedere» disse rivolgendosi al cane «e neanche a te, Claudia. E’ solo una vecchia storia di famiglia.» e chiuse l’album fotografico.