Sto correndo in una nebbia vischiosa che non mi permette di vedere i miei passi, é come fluttuare sospesa in una bolla. So di essere in pericolo, di dover fuggire. Da cosa?
Pensare é un lusso che non mi posso permettere, sento la sensazione di pericolo che si avvicina, che prolunga verso di me i suoi artigli come lunghe propaggini.
Non ho altra alternativa che continuare a correre verso un punto che si allontana sempre più. Cosa troverò una volta raggiunto? Come capirò di essere in salvo?
A tratti vedo formarsi immagini confuse, flash back di colori e forse anche di suoni rarefatti.
Forme confuse, come se il passato mi stesse trasmettendo immagini dimenticate.
Gli snodi della vita visti da un treno veloce che non puoi fermare. Li vedo così, come spettatore, anche se so che ne sono stata protagonista.
L’ultima stella marina presa sul fondale, il raggio di sole che illumina la goccia d’acqua che sta cadendo dalla foglia, la mano di un bambino che porge il suo tesoro: una pietra tutta bianca.
Rallento, ho voglia di fermare queste immagini. So che sono preziose, che formano uno scudo, una barriera. Se chiudo gli occhi ecco di nuovo gli snodi che si affastellano nel tentativo di proporsi. L’acqua: sì l’acqua che scorre veloce a livello dei miei occhi, poi precipito come in una cascata.
Sono la foglia, che viene trascinata via e che l’acqua si diverte a far girare in mulinelli vorticosi per essere poi ghermita dal becco di un gabbiano. Adesso volo sulla schiuma del mare, poi plano lentamente sulla cresta di un’onda che mi lascia sulla risacca di una spiaggia. Il suono perpetuo dell’onda che si frange, i minuscoli granelli della sabbia, la chele di un granchio che mi afferrano e poi… sono di nuovo io che cammino sulla sabbia a piedi nudi con la stoffa bagnata del vestito che mi si incolla addosso. Non ho più la sensazione di pericolo e mi siedo su uno scoglio, aspettando che il sole tramonti e immerga il suo disco rosso nel mare. E poi eccola: la luna.
La luna con il suo argenteo disco che manda una scia sul mare. So che è un invito come il due di spade dei tarocchi. Mi alzo lentamente e con sicurezza metto un piede su quella via lattiginosa. “Sei sicura?” chiede una vocina interiore. Certo che sono sicura. Sono sfuggita alle insidie del passato. La benda mi è caduta dagli occhi e posso tranquillamente cercare il mio equilibrio interiore, volgere lo sguardo verso il futuro.
Vedo delle luci brillare intorno a me, prima lontane poi sempre più vicine. Forme indistinte che avvicinandosi prendono forma, sembrano visi. Non capisco. Una luce improvvisa mi ferisce gli occhi. Cerco di aprirli. I visi sono lì, tutti intorno a me.
«Dottore, dottore, venga ha aperto gli occhi.»
«Finalmente signora, ci ha fatto disperare. Bentornata fra noi.»
«Che è successo? Dove sono?»
«Tranquilla. Non si sforzi. Ha avuto un brutto incidente, adesso è tutto passato. Deve solo recuperare le forze.»
Son passati giorni da quando mi sono svegliata. Dell’incidente ho immagini confuse. L’unica cosa certa è che non ero io al volante e che chi guidava si è dileguato lasciandomi a morire, se non fosse stato per una provvidenziale volante della polizia che passava per caso. La macchina si era schiantata contro il tronco di un albero, giusto dalla parte destra. Era stato necessario l’intervento dei vigili del fuoco per estrarmi dalla macchina. Del guidatore nessuna traccia, tranne qualche macchia di sangue caduta sul tappetino.
Non so chi sono e non avevo una borsa con me, quindi niente documenti. La macchina risultava rubata.
La polizia, dopo il risveglio, mi aveva sottoposto a un interrogatorio, in presenza del dottore che a un certo punto li aveva bloccati.
«Signori, la paziente ha un blocco temporale di memoria e non può rispondere alle domande.»
«Come facciamo a sapere chi guidava, se lei non ce lo dice?»
«Mi dispiace, ma, finché non le ritornerà la memoria, non può aiutarvi. Non avete fatto analizzare le tracce ematiche?»
«Sì, ma ci vuole tempo e soprattutto sperare che sia schedato. Altrimenti…dobbiamo solo attendere che le torni la memoria.» e allargò le mani sconsolato.
I tubi che mi collegavano alle macchine sono a poco a poco diminuiti, è rimasta solo una flebo. Ho chiesto uno specchio. La superficie mi ha rimandato l’immagine di una donna con ancora dei lividi e delle cicatrici sul volto, nulla di deturpante, solo che il mio viso è quello di una sconosciuta. Non riesco a ricordare chi sono, come sono finita in quella macchina e perché nessuno si è presentato a reclamarmi. Le infermiere mi hanno detto che sono apparsa sul giornale, invitando chi mi conosce a farsi avanti. Gli appelli finora sono caduti nel vuoto.
Passo le giornate dormendo e guardando la televisione. La notte stento a prendere sonno, nonostante le medicine che mi danno. Anche adesso ho provato a tenere gli occhi chiusi, cercando di rilassarmi, ma i rumori della notte si ingigantiscono e non mi fanno dormire. Uno stridio breve, una ventata di aria più fredda, poi un presenza su di me. Cerco di urlare, ma non ci riesco mentre un cuscino mi soffoca. Riesco a premere il pulsante di richiamo delle infermiere, ma sento subito delle voci, il cuscino viene scostato e io sono ancora viva.
Il poliziotto che mi aveva interrogata, mi sorride.
«Per fortuna era schedato: un maniaco sessuale, un predatore che, di solito, non lascia scampo alle sue vittime. Quando abbiamo riscontrato il suo DNA, il magistrato ci ha autorizzato a tendere una trappola. Abbiamo reso noto dove era ricoverata, così lui è venuto a completare il suo lavoro. Adesso non ha più nulla da temere.»
«Sì, ma io chi sono?»
«Un’insegnante che prendeva il treno per ritornare a casa dopo un colloquio al provveditorato. Abbiamo trovato la sua borsa nel viale che conduce alla stazione. L’ha presa da dietro con del cloroformio e l’ha trascinata in macchina. Aspetti c’è qualcuno qui fuori che sta aspettando di entrare.»
La porta si è aperta e un signore elegante è entrato. Ha i capelli brizzolati, indossa una divisa e si sporge verso di me.
«Perdonami cara, non sapevo quello che stavi passando. Ero all’estero in missione e quando mi hanno contattato, sono subito ritornato. Mi hanno detto che non ricordi nulla. Non preoccuparti,
ce la faremo anche se ci vorrà del tempo. Io ti amo lo sai.»
Guardo quello sconosciuto che dice di amarmi. Non risveglia nessun ricordo in me.
«Mi spiace, ma il suo viso non mi dice nulla. Vorrei non essere condizionata. Quando uscirò
vorrei restare da sola. Ricostruirmi la mia vita e il mio futuro e, sinceramente, non provo nulla. Se mi ama veramente, la prego di non forzarmi.»
L’uomo si è irrigidito, poi ha scosso la testa come a scacciare le mie parole.
«Se è questo che vuoi…» e con passo pesante ha lasciato la stanza.
Non sono stata sincera, la memoria, vedendolo, mi è tornata all’improvviso. Un’esistenza di incomprensioni. Ho sposato un militare e insieme a lui il suo mondo rigido, fatto di forme geometriche. Una vita di solitudine, senza aspirazioni. Ciò che mi è accaduto, forse, mi ha dato la forza per cambiare, per guardare il futuro con i miei occhi, libera da ogni condizionamento.
Non so se ce la farò, ma adesso sono finalmente io.